lunedì 11 giugno 2007

IN NOME DE POPOLO GARRUSO

Mi vulissi unghiari a minchia a corpi di martiddrina!”. Il prefetto di Montelusa, Sua Ccillenza Vittorio Paladino, non avìa certo abbisogno della martiddrina pirchè nel mentre santiava i cabasisi ci firriavano talmente tanto che nell'alloggio prefettizio spirava un vinticeddro frisco che avrebbe fatto 'mmidia pinzino a Totoneddro Noncada, montelusano re dell'eolica.


“Vitto' – disse tussenno Sua Ccillenza la signora prefetta – astuta per favore l'aria condizionata che c'è una friscanzana che mi sta facenno agghiacciare tutta”.


“Ma quali aria condizionata, amo', lo sai che appena insediato a Montelusa ho fatto smontare i condizionatori per scangiarli col signor Picorilla che ci ha dato fotocopiatrici per l'officio. Se senti friddo incoponati, insaiati il cappotto che tanto anche se è giugno qua dintra non ti vede nisciuno”.


“Vitto', ma che hai?” addomannò la signora prefetta talianno prioccupata suo marito che era stato insolitamente scortese tanto quanto era avvampato in faccia.


“Nenti amo', è che in questa minchia di provincia montelusana non c'è mai arrizzetto. Finisce una mirgenza e ne accominza un'autra. Cinco minuti 'nnarrè arrivò da Trenitalia la comunicazione che di domani levano la Freccia del Sole, il treno diretto Montelusa-Milano. Già che c'erano vintiquattro ore di viaggio! Ora i cristiani avranno veramente la minchia unghia di sti supirchiarii. E non c'è autostrata, e non c'è arioporto, invece di strate ci sono ancora trazzere! Io non ci sto! Ora scrivo al Direttori generali delle ferrovie e mi farò sentiri. Lo devono accapire che qua la gente non può continuare ad essere accussì bistrattata!”.


“Bravo! Fagliela vedere tu a sti crasti. Io intanto vado a vedere se sono pronti il sangunazzo e la cutine col suco. Visto che sei così arraggiato almeno stasira ti faccio mangiare leggero sennò tu non arrinesci a chiudere occhio stanotte. E per dumani ho ordinato babbaluci e scataddrizzi. Poi addecidiamo se farli col suco e le patate o con l'aglio e l'oglio di casa”, disse la signora prefetta cogliendosi la sua roba e andandosene in cucina per occuparisi della cena.


Intanto, mentri il prefetto parlava talianno con l'occhi sbarracati il foglio 'ntistato Trenitalia nella stanza era trasuto Nonò Lavardera, prefettizio maggiordomo da quattro generazioni. Sì, pirchè suo patre Cosimo e prima di lui suo nonno Onofrio e prima di lui suo catananno Cosimo... Insomma, prima di Nonò due Cosimo e un autro Nonò avevano sempre sirbuto il rappresentante del governo a Montelusa. Sintenno la coniugale discursione prefettizia il maggiordomo non era arrinisciuto a trattenere un sorriso, propiamente come si fa quando si sentono certi discorsi di picciliddri, che arraggionano con la innocenza di anime candide.


“Vostra Ccillenza, addomanno pirdonanza – dissi Nonò cangianno espressione e con tono vascio – ma non è per intromettermi nelle cose di Voscenza Ccillentissima. Ma parò essendo Vossia nuovo di Montelusa, benchè Eccellentissimo Prefetto, la sperenzia di quattro generazioni in questa Prefettura mi fa sentire in obbligo di svelare a Vossignoria Ccillentissima un segreto per non farsi lo stomaco a macco ogni tanticchia”.


“Dica Nonò, dica”, dissi il Prefetto Paladino livandosi l'occhiali e distogliendo lo sguardo dalle carte appoiate sulla scrivania.


“Posso?”, addomanno a quel punto Nonò per cercare ulteriore conferma che l'interesse mostrato dal Prefetto gli permettesse di parlare in libertà. “Come Vostra Ccillenza saprà – principiò il maggiordomo - se la provincia di Montelusa è arrivata dove è arrivata, e cioè con licenza parlando con le pezze al deretano, Vossia capirà che una ragione ci sarà. E la ragione è che quello montelusano è... come dire... Voscenza mi permette di usare le palore giuste senza che Vossia si nichii o si disgusti?”.


Al silenzioso cenno di consenso del Prefetto, Nonò continuo dicenno: “Se qua si è arrivati al punto che sappiamo è pirchè il popolo montelusano è un popolo garruso”.


Mentre il Prefetto taliava Nonò con sguardo interrogativo, il maggiordomo aggiunse: “Passivamente garruso”.


“Che vuol dire Nonò?”, ribattè il Prefetto.


“Vuol dire che – arripigliò subito Nonò – qui il popolo se la fa mettere in culo senza dire ne ai ne bai. Non protesta mai. Qualsiasi superchieria l'accetta senza fiatare”.


“Nonò, non dire bestialità! Poi finisce che queste pirsone me le arritrovo tutte qua sotto in piazza a protestare. Beddra Matre, e poi che direbbero a Roma?”.


“Ma quali proteste, piazze, cortei... Che si ricordi, Ccillenza, una sola vota il popolo scinnì in piazza per protestare contro la mancanza d'acqua. Ma capitò una vintina d'anni fa e fu solo pirchè glielo ordinò l'allora vispico Buonamoglie, non certo pirchè c'interessava il fatto che acqua dai cannola non ne nisciva se non per qualche orata ogni misi. Questo per dire, Ccillenza, che Vossia non deve somatizzare i poblemi di questa gente, non deve farsi il sango acqua per le disgrazie che si abbattono e sempre si abbatteranno su questa popolazioni. Non è il caso. Intendo dire: se se ne fottono i montelusani pirchè se la deve prendere Voscenza?”.


“Mi voglio unghiare a minchia cu a manu manca! Insomma, Nonò, intendi dire che pure io me dovrei stracatafottere se questa gente la piglia in culo volentieri come i garrusi”?


“Esattamente Ccillenza, proprio accussì. E non è solo per i colari. Se poi Vossia vuole essere trasperito subito subito basta ca si metti a fare burdellu. Al Prefetto Miro Dimastro lo hanno mannato dopo manco quasica un'annata. Chiddro era sbirro veramenti. Sbirro integrali. Da testa e pedi. Il Prefetto idiali, eppuro lo traspirero d'urgenzia”.


“E allora Nonò, secondo te che dovrei fare per esempio per questa minchiata del treno Montelusa-Milano?”.


“Ccillenza, facissi come da protocollo. Vossia ci schive una littra a coriu di mulo al Direttori delle Ferrovie e accussì si mette l'animo in pace avendo fatto il suo dovere di prefetto. Ma sappia che littra morta resta. Anzi, vuole vedere se come ci dico io è giusto o sbagliato? Diffonda ai giornala e tilavisioni questa sua littra e vedrà l'effetto. Schiveranno la notizia, ma di po' si accorgerà che la gente se ne fotterà e vedrà che nisciuno scennerà in piazza. E poi mi saprà dire se la mia è verità o minchiata”.


La matina di tre jorna appresso il Prefetto trasì in camera mentre Nonò stava svolgenno le sue mansioni. “Nonò – disse il Prefetto – non contavi minchiate. Vero è. Mi hai graputo la mente. Effettivamente i montelusani sono un popolo garruso. E sai che ti dico? In nome del popolo garruso da oggi mi 'nni futtu altamente e prefettiziamente pure io e dico: visto che gli piace, sa facissiro scattiare in culo!”.

Filippo Genuardi
filippogenuardi@gmail.com



1 commento:

Luca ha detto...

Fantastico.
E, ahimé, tragica verità.